“Casa è quel posto dove, quando ci andate, vi accolgono… sempre” (Robert Frost – poeta e drammaturgo statunitense).

Benediciamo il Signore che ha donato a noi della “mia Casa” questo tempo straordinario a Camparmò, insieme ad Alvaro e alla comunità celibataria della nostra oasi madre. “Vivere” Camparmò per quattro giorni è stata una esperienza “globale”: profumi, sapori, colori… calore! Sentire di essere a casa, sperimentare di essere famiglia. In questo “luogo dell’anima” così speciale storicamente e spiritualmente per la nostra Koinonia, abbiamo potuto toccare con mano il significato della parola “appartenenza”.

Ripercorrendo insieme la storia di Camparmò abbiamo potuto cogliere i simboli e le analogie cha legano la Koinonia e “La mia casa” con un filo indissolubile che ci rende “uno in Cristo Gesù”. Tutti noi della “mia Casa” abbiamo avuto questa esperienza: sentirci uno con la comunità di Camparmò. E soprattutto sentirci accolti in maniera speciale, come persone “importanti”… Qui abbiamo ricevuto un messaggio preciso da parte del Signore, attraverso le parole di Alvaro: non consegnare mai ai nostri peccati e ai nostri fallimenti la delega a raccontare “chi siamo”. Ma concedere questo potere alla “grammatica” del Signore: alle parole di un Padre che ci ama tutti, distintamente e particolarmente come se fossimo figli unici e prediletti. A Camparmò succede qualcosa di sorprendente: una nostalgia dolce e potente che ti coglie non al momento della partenza, ma ti precede già al momento dell’arrivo: quando arrivi già intuisci nello spirito che questo luogo ti mancherà, perché qui sperimenterai la bellezza e l’amicizia… Torniamo a casa contagiati da un virus benefico di cui Alvaro e le sorelle e i fratelli di Camparmò sono “portatori sani”. E con la voglia di contagiare anche noi, a nostra volta, quelli che incontreremo nel cammino con questo virus: un virus che si chiama “umanità”.

La mia Casa 

 

 

Foto: Alessandro Penzo, Miriam Olejnik 

Un virus che si chiama “umanità”